sabato 24 aprile 2010

Kofale, marzo 2010


Mi sembra assurdo scrivere di questo proprio ora, in un momento di pace, dall'altra parte del mondo, ma oggi ogni conversazione, evento, pensiero, mi riporta all'Italia. In questo tempo in cui mi interrogo sull'identità altrui mi chiedo sempre più fortemente cosa abbia io da scambiare. Partecipo all'incontro? Sono coerente? Sono libera? Di fronte al solido senso di appartenenza che questo popolo comunica mi trovo più che mai culturalmente nomade, legami con il mio paese recisi. Italianità assente. Italianità?
Detesto le domande sul mio paese e rispondo in modo vago, soprattutto perché l'Italia e un fenomeno burlrsco ed intraducibile per chi non è nato entro i suoi confini. Mi è stato chiesto se è vero che il nostro presidente non è onesto e che non c'è libera informazione. Mi hanno chiesto anche se ha usato l'esercito per mantenere il potere. Difficile e amaro spiegare che la maggioranza della popolazione ha scelto di votarlo. Senza brogli? Senza brogli.
Qualcuno racconta di studenti uccisi all'università. Quando si manifestava per poter studiare nella propria lingua tanti hanno bruciato i libri di amarico. Qualche morto non importa, mi dicono. Ci si spende per la causa. Di fronte a questo mi vergogno della poca forza con cui ci opponiamo, della nostra incapacità di essere critici e coesi di fronte a quella che è solo la caricatura di un dittatore. Per ora.
Il clima elettorale lascia presagire che le future elezioni saranno solo una formalità. I risultati 45 giorni dopo il voto. L'opposizione è effettivamente inesistente. Il partito candida ex-parlamentari, l'opposizione giovani studenti. Al macello. L'ingiustizia è palese. Per quanto possa odiare questo sistema non posso fare a meno di pensare a quanto sia involontariamente sincero. Non c'è spazio per il confronto politico perché il governo non lo permette, non c'è spazio per i diritti perché l'èlite al potere mantiene i suoi privilegi inalterati. Questo è palese, sotto gli occhi di tutti. Penso quindi che il nostro sistema sia immensamente più ipocrita cpon il suo parlare di pluraklism e democrazia, ma penso anche che abbiamo ancora un grande spazio di manovra non sfruttato per esercitare dissenso. Se non fosse che questo ci richiederebbe di liberarci dal processo di controllo e distruzione del pensiero che ci è imposto ogni giorno dai mezzi di comunicazione. Se lo facessimo la nostra schiavitù condivisa da subcultura televisiva domenicale ci apparirebbe all'improvviso chiara.
Non ho notizie dell'Italia da più di un mese, se non qualche emailche mi scrive un'amica. Eppure mi sembra di sapere tutto, e vedere nero.
A volte, catapultata in questo mondo di tradizione, di memoria orale, di identità sentita come prioritaria mi chiedo chi sono io, e da dove vengo. Nebulose. E tutto questo non sapere da dove vengo mi rende difficile capire dove voglio andare, mi condanna all'esilio. Guardo Feyisa, che lavora con me. Può indicare fino a dieci generazioni della sua famiglia. Mi dice che non troverò traccia di amarico nel suo albero genealogico. Non c'è nome che non sia Oromo. Io non arrivo oltre mio nonno.
Gli dico di Parma, di piazzale Picelli, delle barricate e della Resistenza,che è l'unica parte della storia d'Italia che non mi vergogno di raccontare. Lui mi chiede perchè non sia stato quello il tema del mio lavoro. Mi dice di continuare a cercare con forza e scrivere. Non lasciare che ti facciano essere qualcuno o qualcosa che non vuoi solo perché non ricordi chi sei.
L'identità si sceglie. Meglio darsi da fare, allora. Nel frattempo mi da un nome oromo, Chaaltu. Come per rassicurarmi mi dice: " Per il tempo che sei qui, Enrica, sei Oromo". Mi sento improvvisamente meno povera.

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