giovedì 6 maggio 2010

Razzismo di ritorno

Come uscire da quella tipica situazione in cui tu,
ventenne fiduciosa,
una sera di maggio vai a teatro...
C'è uno spettacolo organizzato da Libera sui fatti di Rosarno.
Ti siedi, guardi lo spettacolo, poi le luci si ccendono e tu ti accorgi che in sala ci sono 35 persone,
tutte italianissime, pulitissime, bianchissime.
Pochissime.
E sempre le stesse...
Come uscire da questa specie di circolo di illuminati depressi?
In fondo non riesco a non pensare che in questo essere pochi, essere "noi", non ci sia un po' di autocompiacimento.
Tutta questa gente, che legge i libri sulla migrazione e non perde una rassegna sull'Africa,
mi chiedo se abbia mai condiviso un pasto con uno straniero, un divano, una panchina, un posto sul treno o sull'autobus,
un pensiero, una parola.
Penso ai miei amici, non razzisti,
anche di sinistra.
Penso ai loro sguardi quando mi incontrano con un amico africano.
Li vedo, confusi.
Non sanno se pensarmi come un animo gentile, mossa da sentimenti di pietà per i poveri e sfortunati migranti, oppure se ridere e ammiccare, come se non potessero fare a meno di fare congetture su quale tipo di ambiguità ci leghi.
Come se non fosse possibile nessun altro tipo di incontro.
Filantropia vittoriana o esotismo. Non c'è altra interpretazione.
Questo è razzismo, è serpeggiante, discreto, ma è razzismo.
Razzismo liberale, razzismo di ritorno, che nasce anche dall'autoesclusione a cui ci condanniamo, che scegliamo. Quella delle rassegne, delle mostre, delle cene africane senza africani, in cui noi vediamo la rappresentazione tranquillizzante di qualcosa che non conosciamo, che accogliamo solo formalmente. Così non ci sentamo razzisti, eliminiamo il senso di colpa. L'Africa ci piace, ma l'Africa qui non ci riguarda.
Non la incontriamo. Cosa vuol dire africano? chi sono gli africani a Parma? Come vivono? dove vivono queste persone? Come si chiamano? Da dove vengono?
Scopriremo mai che Solomon è eritreo, che non è la stessa cosa che essere etiope, che a sua volta è diverso dal dire "africano"?
Penso soprattutto a Parma, alla netta separazione degli spazi urbani tra Parmigiani e Stranieri,l'elegante apartheid che viviamo ogni giorno, che scegliamo.
Ci penso, e mi riesce un po' difficile trovare una soluzione.
Ieri, dopo l'ennesimo incontro sulla migrazione torno nella mia casa di Bologna. Io e Valeria, la mia coinquilina invitiamo degli amici a cena. Abraham, eritreo, Mor e Khadim, senegalesi. Loro sono più italiani di noi, vogliono vedere la partita, perché gioca l'Inter e poi anche un film su Italia 1. Noi sono mesi che non accendiamo la tv, così ci incastriamo tra cavi ed antenne per cercare di ottenere un immagine decente. Io credo che questo non possa e non debba stupirci. Mi auguro che non debba stupirci più.
C'è un detto etiope secondo cui noi uomini siamo tutti polmoni che respirano, solo polmoni che respirano. E sia.

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